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È stato un caso

di Fuksas Massimiliano

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Contenuto

Massimiliano Fuksas ha sempre vissuto l'architettura come un atto di esplorazione. Un modo di attraversare il mondo senza barriere, portando con sé idee, incontri e visioni. Cresciuto tra Roma e l'Austria, in una famiglia di origini lituane ed ebraiche, ha imparato presto il valore del movimento, del cambiamento, il superamento dei confini. A Roma, il destino lo mette sulla strada di Giorgio Caproni, maestro e poeta, con cui instaura un legame profondo. Da ragazzo, il suo percorso sembra portarlo verso la pittura. Nella bottega di Giorgio De Chirico osserva, sperimenta. Inizia a vendere i propri quadri per mantenersi. Ma a decidere del suo futuro è un'imposizione materna: deve andare all'università. Impulsivamente, per puro caso, sceglie Architettura. Londra è il primo punto di svolta. Nel laboratorio visionario di Archigram scopre un'idea di architettura che non ha nulla di accademico o convenzionale. Intanto il Sessantotto esplode e lui è in prima linea. Partecipa agli scontri di Valle Giulia, si unisce ai pastori di Pratobello nella loro lotta contro l'esproprio. Da Londra a Copenaghen, dove lavora con Jørn Utzon, fino a Parigi, dove apre il proprio studio e insegna all'École Spéciale d'Architecture con un approccio radicale: «per insegnare architettura bisogna insegnare se stessi». La sua carriera prende il volo, ma il nomadismo resta la sua cifra esistenziale. Perché solo chi non si àncora a un luogo può davvero comprendere il mondo. Autore di opere emblematiche come la Nuvola all'EUR e il Peres Center for Peace di Giaffa, Fuksas ha fatto dell'incontro con l'altro la sua filosofia di vita. L'architettura, per lui, non può essere solo forma. È spazio vissuto, gesto politico, relazione umana. Ma soprattutto, è un atto di generosità.

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